Nel linguaggio giuridico legittimare ha un significato ben specifico: “riconoscere il diritto a qualcuno di affermare la sua idoneità giuridica a un determinato atto o comportamento; se ne estendiamo il significato vuol dire: riconoscere come valido, provare l’autenticità di qualcosa”.
Nel mio lavoro mi piace utilizzare questo termine trasferendolo al campo delle emozioni e degli stati d’animo, perché spesso può essere esemplificativo nel rappresentare un atto di riconoscimento che una persona permette a se stessa rispetto alla #validazione di un sentire, di provare un’emozione, senza preoccuparsi se l’altro la accetterà o meno, o piuttosto che ci giudicherà, squalificherà o ignorerà.
Un mancato riconoscimento, un bisogno frustrato, o altresì quando ci neghiamo le nostre stesse emozioni non le stiamo riconoscendo come valide, tanto da disconoscerne il loro valore intrinseco così come quello che assume per noi.
Molto spesso le persone si trovano in difficoltà rispetto al diritto di riconoscersi e soprattutto rendere giustizia al proprio sentire; come mai accade questo?
Ciò può dipendere dall’insieme di convinzioni che possediamo in merito alla legittimità delle emozioni: ovvero in base alle credenze che abbiamo riguardo alla possibilità di esprimere o meno gli stati emotivi, soprattutto quando essi sono per noi faticosi e difficili.
Alcune persone credono sia giusto e legittimo accettare e accogliere ogni emozione, bella o brutta che sia; mentre altri pensano sia meglio sopprimerle, evitarle o sedarle in quanto simbolo di debolezza, fragilità o vulnerabilità.
Se nel passato abbiamo sperimentato un mancato riconoscimento emotivo da parte di chi si sarebbe dovuto prendere cura di noi, impariamo a farlo anche con noi stessi, sentendoci sbagliati nel provare quell’emozione, negandoci pertanto la possibilità di essere riconosciuti in ciò che proviamo. Non ci permettiamo di arrogarci il diritto di validare il nostro stato emotivo in primis a noi stessi e poi con gli altri, tanto da non metterci nella posizione di conferire autenticità a noi nell’interazione con l’altro.